Fra le tante personalità che ebbero modo di visitare Vicenza, un posto d’onore va riservato a Goethe. Egli rimase tanto affascinato dalle bellezze artistiche della città, da recarvisi in occasione di entrambi i suoi viaggi in Italia, scrivendone poi con parole di ammirazione.
I palazzi palladiani… ”con la loro mole e la loro imponenza essi devono, per così dire, riempire gli occhi, mentre con la bella armonia delle dimensioni, non solo nel disegno astratto, ma in tutto l’insieme della prospettiva…appaga lo spirito”.
Ma come vedono gli occhi di Goethe oltre le bellezze artistiche della Città-teatro, come egli stesso la definisce?
Il grande drammaturgo descrive Vicenza come una città viva e pulsante e i suoi abitanti come persone molto affabili e cortesi quando ci si rivolge a loro. Sicuramente, altro dettaglio interessante, rimane piacevolmente colpito dalle donne vicentine: “Non badano a voi, per quanto facciate per fissare la loro attenzione; ma se loro indirizzate la parola, vi rispondono con grazia e cortesia, le donne maritate sovratutto.”
Lasciamo ora allo stesso Goethe l’onere e il piacere di raccontarci Vicenza così come egli la vide e la visse.
Ricordi di viaggio in Italia nel 1786-87 (1787)
“Vicenza, il 19 Settembre.
La strada che da Verona porta in questa città è molto amena. Si cammina verso i monti in direzione di settentrione e levante, lungo i contrafforti di quelli che si hanno costantemente a sinistra, formati di sabbie, di terre calcari ed argillose; su quelle colline sorgono villaggi, case, castelli, ed a destra si stende ampia e vasta la pianura.
La strada bella, ampia, e stupendamente mantenuta corre a traverso fertili terreni, ne’ quali in mezzo a filari di piante corrono e ricadono in festoni i tralci delle viti, i quali in questi giorni piegano sotto il peso dei grappoli, oramai maturi. La strada ribocca di persone, di veicoli, e fra questi mi allietavo specialmente a rimirare i carri con ruote basse, piene, tirati da quattro buoi, i quali in grandi cassoni portavano le uve ai tini, dove queste si pestano, e si lasciano fermentare. Fra i filari degli alberi che servono di sostegno alla vite, il terreno è coltivato con ogni sorta di cereali, e specialmente a gran turco ed a sorgo.
Nello avvicinarsi a Vicenza le colline volgono di bel nuovo da tramontana a mezzogiorno; sono di natura volcanica a quanto mi si assicurò, e chiudono la pianura. Vicenza giace ai piedi quelle, e si potrebbe dire quasi in un seno, formato dalle stesse.
Vicenza, il 19 Settembre.
Sono qui giunto da quattro ore, ed ho percorso di già la città, e visti il teatro olimpico, e gli edifici del Palladio. Si è pubblicata ad uso e per comodo dei forastieri una piccola guida con incisioni, e con un testo scritto con gusto in materia d’arte. Nel contemplare quegli edifici si riconosce tosto il loro pregio, imperocché traggono a sé l’attenzione per la loro grandezza e per la loro imponenza, e soddisfano ad un tempo lo sguardo, per la perfetta armonia delle loro dimensioni, nonchè per la prospettiva delle sporgenze, e delle parti rientranti. Intendo parlare degli edifici del Palladio, che qui si scorge ad evidenza essere stato propriamente uomo distinto. La più grande difficoltà colla quale egli ebbe a lottare, al pari di tutti gli architetti moderni, si fu il retto impiego degli ordini di colonne nell’architettura civile, imperocché riunire mura e colonne, sarà pur sempre una contraddizione. Con quanta abilità non seppe egli superare cotale difficoltà! quanto non impone l’aspetto delle sue opere, e come si dimentica, ch’egli non ebbe altro in mira se non il farvi illusione! Si scorge veramente un non so che di divino nelle sue linee, armoniche quanto i versi di un gran poeta, il quale dalla verità e dalla menzogna sa trarre un terzo elemento affatto nuovo, il quale incanta, rapisce!
Il teatro olimpico si è il teatro degli antichi, ridotto a minime proporzioni, ma pur sempre d’inarrivabile bellezza; paragonato ai teatri moderni, direi fare quello la figura di un giovane di buona famiglia, ricco, stupendamente educato, a fronte d’uomo maturo d’anni, di origine meno distinta, meno ricco, meno colto, ma che sà meglio del primo quanto possa ottenere con i suoi mezzi.
(…)
Il 21 Settembre a sera.
(…)
Oggi sono stato a visitare lo stupendo edificio denominato la Rotonda, il quale sorge sur una amena collina a mezz’ora di distanza dalla città. È di forma quadrata alla base, con una sala circolare nel centro, la quale riceve luce dall’alto. Vi si sale dalle quattro parti per mezzo di ampie gradinate, le quali portano ad altrettanti peristili, formati da sei colonne di ordine corinzio. Lo spazio occupato dalle gradinate, e dai peristili è maggiore di quello del resto dell’edificio, il quale, in tutti quattro i lati porge l’aspetto di un tempio. Nell’interno questo a tutto rigore si potrebbe dire abitabile, non però fatto per essere abitato. La sala è delle più belle proporzioni, come parimenti le stanze; ma il tutto basterebbe a stento per residenza estiva di una famiglia distinta. E grande la varietà di aspetto che porge il complesso dell’edificio, colle tre colonne sul primo piano; si gode da quell’altura vista stupenda delle contrade circostanti, ed il fondatore dell’edificio, il quale volle ad un tempo istituire un fedecomesso, ed un ricordo visibile della sua sostanza, raggiunse pienamente il suo scopo. E nella stessa guisa che oggi la Rotonda appare in tutta la sua splendidezza, da ogni punto delle campagne fra cui sorge, si gode da quella, vista piacevolissima di queste. Si scorgono il corso del Bacchiglione, le barche le quali scendendo da Verona si avviano verso la Brenta, e le ampie possessioni che il marchese Capra volle rendere inalienabili nella sua famiglia. L’iscrizione dei frontoni dei quattro lati, che forma un complesso, merita per dir vero di essere riprodotta
Marcus Capra Gabrielis filius
qui ædes has
arctissimo primogenituræ gradui subiecit
una cum ommnibus
censibus agris vallibus et collibus
citra viami magnam
memoria perpetua mandans hæc
dum sustinet ac abstinet.
La chiusa è abbastanza curiosa; un uomo possessore di cotanto larga sostanza, esprime l’idea che deve pure soffrire, ed essere sottoposto a privazioni. Si può imparare questa verità a minor prezzo.
(…)
Il 22 Settembre.
Arrivai stamane ancora per tempo a Tiene, il quale giace verso i monti, in direzione di settentrione, dove si sta restaurando un nuovo edificio secondo il disegno antico, del quale rimanevano poche tracce. Per tal guisa dura in queste contrade il culto del passato, e si ha senno bastante per innalzare un edificio nuovo, secondo un disegno antico. Il castello giace in bella posizione in una vasta pianura, e vi sorgono a tergo i monti, senza colline di sorta, nello spazio intermedio. Partendo dal castello in linea retta la strada è fiancheggiata da due canali di acqua corrente, che forniscono l’irrigazione ai campi che si stendono a destra ed a sinistra, coltivati a riso.
Non ho viste finora che due città italiane, e non ho parlato ancora con molte persone; però ritengo di conoscere già abbastanza gl’Italiani. Sono uomini cortesi, i quali ritengono essere il primo popolo del mondo, e che sanno menar vanto e trarre partito di certi pregi, che per dir vero, non si possono loro negare. In complesso poi gl’Italiani mi paiono una buona nazione; basta porre mente ai ragazzi ed alle persone del popolo, colle quali mi trovo di continuo a contatto, e che non manco mai di osservare attentamente. Quale bellezza poi, e quale nobiltà di fisionomie!
Devo fare particolare encomio poi delle Vicentine, presso le quali s’incontrano i pregi delle abitatrici di una grande città. Non badano a voi, per quanto facciate per fissare la loro attenzione; ma se loro indirizzate la parola, vi rispondono con grazia e cortesia, le donne maritate sovratutto. Non voglio però far torto alle Veronesi, sono ben fatte di corpo, ed hanno un profilo caratteristico, sono in generale pallide ed il zendalo non giova a farle comparire, imperocché anche sotto il migliore costume, si cerca qualcosa di seducente. Qui poi ho trovato figure bellissime, e fra le altre, una brunetta ricciuta, la quale mi ha ispirato un interesse particolare. Vidi pure una bella bionda, ma non mi andò altrettanto a genio.”